top of page
Immagine del redattoreMaurilio Barozzi

Marakkech misteriosa e gourmet (6/1/2025 - l'Adige)

Aggiornamento: 3 giorni fa


Veduta della piazza Jemaa el-Fna all'imbrunire
Marrakech, Jemaa el-Fna

Maurilio Barozzi - Le Città nei libri/9


MARRAKECH (Marocco) Marrakech seduce col torbido fascino dell’inganno e le sue voci da suk vibrano mercanteggianti già all’aeroporto. Per andare in centro il tassista chiede 150 dirham che al ritorno caleranno a 60: «Non si sa mai quanto costeranno le cose, né esse hanno infilzati i cartellini dei prezzi, né i prezzi sono fissi» scrive Elias Canetti nel suo “Le voci di Marrakech”. Sveglia turista, siamo in Marocco: imparalo bene.


Marrakech, municipio

«The shareef don’t like it/ Rockin’ the casbah, rock in the casbah» cantano i Clash, mentre il solerte garçon ridacchia spacciando tè alla menta per «whisky marocchino». Era Paul Bowles? «Vuole un Pernod, signore?» propone il cameriere ai protagonisti de “Il tè nel deserto”. (…) «Un altro Pernod?» domandò Tunner a Port. Kit aggrottò la fronte. «Se fosse vero Pernod…» mentre invece era acqua minerale. Niente alcol al 31° parallelo, inshallah: il Corano dispone, ma il tram tram pospone e il commercio s’interpone. Allora orde di occidentali – più epigoni de “Il ghiottone errante” di Paolo Monelli che di Jimi Hendrix in cerca della “visione” – a far la fila per salire sul terrazzo del Kosybar e sorseggiare un armagnac con vista sulla moschea Koutoubia cullati dal chill-out o dalle litanie del muezzin. Il ristorante ha rimpiazzato con dignità, rigore nipponico, qualche cicogna e un enorme sicomoro, lo «Shahrazad» raccontato da Canetti: «Era l’unico locale della Medina che rimaneva aperto tutta la notte. (…) L’aspetto dei frequentatori era europeo. Venivano i francesi, gli americani e gli inglesi. C’erano anche degli arabi i quali, però, erano vestiti all’europea oppure bevevano, il che bastava, ai loro occhi almeno, a renderli moderni o europei. Le bevande erano molto costose e solo gli arabi benestanti si arrischiavano a entrare. (…) I clienti dello Shahrazad pagavano centoventi franchi per un bicchierino di cognac e ne trangugiavano parecchi, uno dopo l’altro». Del resto, chi non pensa di rifocillarsi in un’oasi tra il Sahara e le alture dell’Atlante? Marrakech da sempre è stata tappa di carovane di cammellieri. Da lontano i viandanti ne individuavano le mura rosate e i palmeti e vi si spingevano certi di essere saziati con cibo e storie d’inganni e di misteri.


Marrakech, la Koutoubia da Kosybar

Tutt’oggi, la stranota piazza Jemaa el-Fna celebra gli inganni: palcoscenico rotante che muta scenario almeno tre volte al giorno – serpenti e animali, banchetti gourmet, e i cantastorie – prima di far posto alla notte, quando «succede di tutto. Ci sono borseggiatori in piazza, e ladri e ogni sorta di criminali. Gli uomini fumano il kif (marijuana) e sono spesso ubriachi anche se sono musulmani», scrive Joydeep Roy-Bhattacharya ne “Il cantastorie di Marrakech”.


Marrakech, la medina

Medina, suk e poi la piazza: un matinée circense. Gente che grida, carretti, biciclette, motorini, tatuatori, cartomanti, flautisti, serpenti, acrobati, suonatori di tamburi e di ottoni. Svariati turisti acclamano un asino che orina a cascata sulla strada. E giù a ridere e fotografare. Tocca rimpiangere il pitale di Marcel Duchamp: il contesto fa l’opera d’arte. E nella Jemaa el-Fna tutto può diventare arte, pure l’asino mingente.


Banchetti sulla Jemaa el-Fna, Marrakech

All’imbrunire, in pochi minuti, la piazza si reinventa tra fumi e profumi di carne grigliata. Decine e decine di bancarelle montate in fretta titillano l’ingordo palato dei “ghiottoni erranti” con spezie, spiedini, arrosti, insalate variopinte, zuppe di lumache, cervello di pecora… Lawrence Osborne, nel suo “Santi e bevitori” avrebbe da obiettare solo sulle bevande analcoliche del menù musulmano. «Guarda le bottiglie d’acqua minerale sul tavolo. Non possono bere. Non è chiaro cosa ci indigni di più: se lo sfregio dell’hijab alle donne (l’eleganza del corpo suggerita solo da unghie smaltate alla perfezione o da una bella caviglia), oppure le bibite che suppliscono a maestose bottiglie di vino, l’acqua che supplisce pateticamente a un bel Brunello». Per mr. Osborne c’è comunque il Cuveé du President, cabernet dei vigneti di Ouled Thaleb, una quarantina di km a est di Casablanca, già coltivati ai tempi dei colonialisti francesi e portoghesi. Da bere però rifugiato in un ristorante internazionale.


Cala la notte sulla Jemaa el-Fna

Col suk messo in stand-by e lo street food sbaraccato, a tarda sera nella Jemaa sbucano i cantastorie. Accovacciati su coperte, illuminati da camping gas e braci di kif, coccolano gli adepti dell’idioma o gli ispirati dall’aroma. Frotte di fricchettoni, infatti, ancora saltabeccano in Marocco sulle orme dei loro idoli in cerca di impulsi creativi, evasioni, emozioni forti. Sperando di evitare quelle infauste rievocate ne “Il pasto nudo” da William Burroughs: «Un mio amico si ritrovò nudo in una stanza al secondo piano di un albergo di Marrakesh… Gli altri occupanti sono arabi, tre arabi… coltelli alla mano… L’osservano… scintillio di metallo e punte di luce negli occhi scuri… pezzi di omicidio cadono come schegge di opale attraverso la glicerina…».


Negozio di spezie, Marrakech

Al pasto nudo, il ghiottone occidentale preferisce il pasto caldo. Tajine e couscous attraggono più della moschea Koutoubia, dei mosaici della Medersa di Ali Ben Youssef o i giardini Majorelle. Nei riad, l’affitto della stanza passa per il menù della prima colazione. Anche i fanatici, per seminar terrore, puntarono ai ristoranti: nel 2011 hanno fatto saltar per aria l’Argana, noto ambiente con veduta sulla Jemaa. Nel giro di qualche anno lo hanno ricostruito.

Ora è più frequentato di prima.


Maurilio Barozzi, L’Adige 6/1/2025

La pagina del quotidiano l'Adige




Galleria fotografica di Marrakech









Comments


bottom of page